In quel posto, con quelle persone, era inutile fare qualsiasi cosa,
tutto tempo, gettato, consumato, sprecato, me lo ripetevo sempre, in continuazione.
Potevi essere Michael Jackson, oppure Jordan, Tom Cruise,
Albert Einstein, Galileo, Newton, Mozart e compagnia bella, ma li eri semplicemente come uno di loro.
Importante, soltanto se possedevi una bella auto, una donna seducente e
ti facevi vedere in giro con le persone giuste.
Tutto il giorno con gli occhiali da sole, a giudicare sempre e chiunque, senza un motivo ben preciso.
Ed ti proclamavano il loro Rè.
Quel posto, era come quelle immense praterie, dove c’è sempre la nebbia, non sparisce mai,
e non riesci mai a vedere cosa c’è sotto, è tutto uguale, tutto un grigio tenebra.
Un colorato tulipano, oppure un rovo li non faceva nessuna differenza,
erano semplicemente uguali.
Il problema era, che io ci dovevo vivere, cercare di sopravvivere in quel posto,
cercando, di non diventare come loro, un ingobbito e grigio alieno, ma non era facile.
Anche l’albero più resistente, prima o poi senza il calore del sole muore,
ed io stavo facendo la stessa fine.
Ed a nessuno avrebbe importato, tanto uno in più, uno in meno, per loro era uguale.
L’unico calore di speranza era il mio sogno, a cui attingevo come acqua nel deserto, a piene mani,
appena sveglio , prima di addormentarmi, era lui che mi dava il calore necessario,
per riscaldarmi il sangue ed il mio vecchio cuore.
Ma gli inverni si facevano sempre di freddi e lunghi, ed il lume di speranza,
più corto ed esile, e prima o poi mi avrebbe abbandonato, era solo questione di tempo.
Solo questione di tempo, mi ripetevo, ed avrei fatto la fine che fanno tutti in quel dannato posto,
sarei diventato un mostro, cieco e balbuziente, divoratore senza scrupoli di scarne emozioni.
Sempre che qualcuno a cui avevo raccontato le mie pene, non mi avrebbe tratto in salvo,
regalato una seconda vita, prima che sia troppo, dannatamente tardi.